Alla fine degli anni '70 il mio disagio raggiunse il limite. Credetti di risolverlo con la scoperta di una nuova passione: il volo libero. Erano i tempi pionieristici del deltaplano. Un incidente nel 1978 mi regalò sei mesi di gesso ed il licenziamento dall'ultimo posto di lavoro, ma non demorsi, volare era troppo attraente, però mi occorreva una fonte di reddito.
I nuovi amici rappresentavano un mondo a me del tutto sconosciuto, un mondo fatto di passioni vitali, di anime libere e ben lontane dal conformismo nel quale ero inscatolato. Da loro imparai una novità assoluta: trasformare in "lavoro" una passione, soprattutto una delle doti che si crede di possedere, ma non fu un meccanismo ragionato, non è che me lo insegnarono come a un corso, bensì una conseguenza automatica del nuovo contesto.
Feci ciò che da bimbo vidi fare a mio nonno, l'uomo che mi fece anche da padre, finché visse, purtroppo non tanto, per lui dipingere non era un lavoro, ma un contraltare alla vita in fonderia, e che da sempre ho visto fare a mia madre, pittrice mestierante che di tanto in tanto realizzava per sé quadri affascinanti. Mi misi a dipingere, consapevole di una mia predisposizione all'immagine che, di tanto in tanto, incidentalmente affiorava fin da quando ero bimbo.
I primi soggetti furono le rappresentazioni che più mi attraevano: scorci di fiumi e torrenti, casolari abbandonati, ambienti polverosi del passato, vecchi che, come il nonno, avevano la vita scritta in volto. Erano anche i temi delle mie fotografie: quelle dalle quali a quel tempo imparai a dipingere riproducendone fedelmente forme e colori. La fotografia fu la mia iniziale maestra.
Poi la natura fece il resto, con le sue leggi evolutive, le mutazioni genetiche e la catena delle conseguenze: arte e creatività non fanno eccezione, subiscono invariabilmente continue trasformazioni.
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